Nell’ambito delle commemorazione di Dante e in relazione ai rapporti tra la Divina Commedia e la Spagna vorremo segnalare la pubblicazione del volume:
La DIVINA COMMEDIA nelle miniature quattrocentesche del manoscritto per Alfonso V d’Aragona – a cura di Edoardo Latini (Medievalia, 9)
La struttura del codice
Il codice manoscritto di Alfonso V d’Aragona con le miniature della Divina Commedia (oggi Ms Yates Thompson 36) è conservato nella sezione dei manoscritti miniati della British Library di Londra. Databile al 1444, si compone di 190 fogli in pergamena (36,5 x 25,8 cm) per un totale di 380 pagine manoscritte con chiara scrittura gotica rotunda; la rigatura è stata effettuata con un telaio guida che ha permesso di avere una messa in pagina regolare ed omologata su tutti i fogli; la legatura esterna è in cuoio intagliato con bordi dorati, ma non è coeva al manoscritto. Dalle segnature presenti sul margine inferiore di alcuni fogli del codice si può cogliere la volontà di guidare il rilegatore nella seguente fascicolazione: ff. 1-152v; ff. 153-158v; ff. 159-166v; ff. 167-174v; 175-190v.
Tutto il codice fu progettato per essere decorato e miniato così come lo vediamo oggi, l’organizzazione degli spazi di scrittura è impostata per accogliere le grandi iniziali istoriate in apertura delle tre cantiche e poi le iniziali figurate dei singoli canti, introdotti da una breve presentazione rubricata, a cui seguono le piccole iniziali miniate in apertura di ogni terzina, così che tutte le pagine del codice, sia al recto che al verso, risultano miniate e ricche di cromatismo.
La copiatura del teso della Divina Commedia e la miniatura furono eseguite verso la metà del Quattrocento in momenti successivi, probabilmente in posti differenti, con il codice ancora smembrato nei vari fogli di pergamena non cuciti tra loro, così che più persone potessero lavorare contemporaneamente alla copiatura e alla decorazione per accelerare i tempi di consegna. Il risultato fu uno splendido esemplare miniato con raffigurazioni originali e raffinate, decorate con una grande quantità di oro e vivacissime gradazioni cromatiche che raccoglieva per intero tutte e tre le cantiche del poema dantesco, il che lo rende prezioso dal punto di vista filologico, ma soprattutto un corredo iconografico impareggiabile dal punto di vista codicologico e artistico.
La struttura è la seguente:
I cantica, Inferno (ff. 1–63): 1 grande iniziale istoriata che rappresenta Dante e Virgilio nella selva oscura, 34 capilettera figurate a inizio di ogni canto e 37 miniature a piè di pagina.
II cantica, Purgatorio (ff. 65–128): 1 grande iniziale istoriata con Dante e Virgilio su un vascello in direzione del Purgatorio; 33 capilettera figurate a inizio di ogni canto e 11 miniature a piè di pagina.
III cantica, Paradiso (ff.129–190): 1 grande iniziale istoriata con scena narrativa che rappresenta Cristo su un carro dorato circondato dagli evangelisti e dalla creazione, 3 capilettera figurate a inizio di ogni canto e ben 62 miniature .a piè di pagina.
I miniatori
Le miniature del codice furono realizzate in contesto senese tra il 1444 e il 1450 e vengono attribuite a due noti artisti: Priamo della Quercia (anche se inizialmente fu confuso con Lorenzo di Pietro il Vecchietta) e Giovanni di Paolo. In quel periodo Giovanni di Paolo era uno dei principali esponenti della corporazione dei pittori senesi e riceveva numerosi incarichi come pittore e miniatore. Si può così presumere che fu lui ad avere l’incarico di miniare il codice di Alfonso V d’Aragona e a richiedere la collaborazione del collega Priamo della Quercia, al quale affidò l’illustrazione della prima e seconda cantica, riservando per sé la terza, il Paradiso, indubbiamente la più elevata e complicata da interpretare attraverso il disegno.
Priamo della Quercia nacque a Siena verso il 1400, della sua vita non si hanno molte informazioni e scarse sono le opere chiaramente a lui attribuibili. Giorgio Vasari, nelle Vite degli Artisti, ci racconta dell’aiuto di Priamo al fratello maggiore Jacopo, ben più noto e famoso. Fin dai primi lavori si dimostrò un bravo esecutore, radicato sull’esperienza tardo gotica, ma privo di innovazione. Di sicura attribuzione sono due polittici presso l’ospedale di Santa Maria della Scala a Siena. Nello stesso ospedale realizzò uno dei grandi affreschi del Pellegrinaio, forse la sua opera più nota, l’Investitura del rettore dell’Ospedale (1442). Morì a Siena nel 1467. Il lavoro di Priamo della Quercia come miniatore riflette lo stile più realistico della pittura fiorentina del Quattrocento, un’influenza che è particolarmente evidente nell’uso di contorni nella raffigurazione dei nudi e nella splendida esecuzione delle quinte architettoniche. Le sue miniature per l’Inferno e il Purgatorio nel codice di Alfonso V d’Aragona sono funzionali alla divisio del testo e alla sua narrazione figurata, con un livello decorativo sapiente e drammatico che segue la narrazione in modo descrittivo e lineare, riuscendo ad essere molto esaustivo nella rappresentazione dei canti infernali (trentasette miniature), più veloce per quelli del Purgatorio a cui sono riservate solo undici miniature.
Giovanni di Paolo, originario di Siena (1398–1482), iniziò la sua carriera di artista facendo l’apprendista nella bottega senese di Taddeo di Bartolo e divenne poi un prolifico e originale pittore che lavorò anche in Santa Maria della Scala. Le forme elegantissime e allungate dei suoi personaggi rimandano alla tradizione di Simone Martini, ma soprattutto fu fortemente influenzato da Gentile da Fabriano, quando lavorò a Siena nel 1425. Molti dei suoi polittici andarono ad arricchire le chiese degli Ordini mendicanti, prima fra tutti la chiesa di San Domenico a Siena, per la quale eseguì almeno quattro pale d’altare. Fu introdotto alla miniatura forse grazie ai contatti con i lombardi Cristoforo e Franceschino Castiglioni e con i fratelli franco–fiamminghi Limbourg che furono a Siena nel 1413. Per il 1428 la sua presenza è documentata nella corporazione dei pittori senesi, di cui fu rettore nel 1441. L’attribuzione a Giovanni di Paolo di opere specifiche di miniatura si basa sulle evidenti affinità stilistiche con i suoi pannelli. Anche nella resa delle scene narrative delle miniature si coglie quell’originalità e capacità interpretativa che percorrono tutta la sua produzione artistica. L’influenza esercitata da Giovanni di Paolo sui contemporanei miniatori senesi si evidenzia nei manoscritti prodotti per la biblioteca della basilica dell’Osservanza (la chiesa di San Bernardino da Siena) tanto che si può pensare ad una vera e propria scuola miniaturistica. Per quanto riguarda le decorazioni eseguite per il codice di Alfonso V, realizzate all’apice della sua carriera, si nota la sapiente capacità interpretativa del verso dantesco nella sua complessità. Lo sforzo di Giovanni di Paolo è quello e di mettere in scena nelle miniature sia il racconto primario che quello secondario, senza tralasciare le metafore o le allusioni mitologiche, trovando per ogni passaggio un posto nell’esiguo spazio della miniatura. L’impegnativa cantica dantesca viene presa in carico e interpretata dai disegni di Giovanni di Paolo il quale, non a caso, deve illustrare quelle miniature con valore esplicativo di un testo di difficilissima comprensione per chi non avesse avuto una solida preparazione filosofica e teologica, cercando di preservare anche visivamente la profondità concettuale e la forte dimensione spirituale. Le figure delicate di Dante e Beatrice che volano sulle colline toscane o nei cieli stellati su sfondo cobalto rendono ogni illustrazione un vero capolavoro artistico. Le sessantadue miniature oblunghe del Paradiso, rifinite di dorature luminose, impreziosiscono il manoscritto con un lessico iconografico denso che riesce ad esprimere l’inesprimibile.
Il committente
Certamente il committente del codice fu Alfonso V d’Aragona (1394–1458) re di Napoli dal 1442 al 1458, detto il Magnanimo, vista la presenza in numerose miniature dello stemma a strisce rosse e dorate che simboleggia la casata aragonese (cfr. figg. 54, 60, 63 e 86) e sul recto del primo foglio le insegne di Alfonso con grifone sopra la corona, l’elmo e lo scudo con lo stemma del Regno di Napoli.
Il re angioino fece di Napoli un vivace centro artistico e culturale, da ogni parte d’Italia giunsero letterati, copisti e miniatori che arricchirono la biblioteca della sua corte di pregevoli codici. Ristrutturò il Castel Nuovo di Napoli, detto Maschio (o Mastio) angioino, e vi instaurò una corte di magnificenza tale da competere con quella fiorentina di Lorenzo il Magnifico. Fu amante della cultura e si dimostrò prodigo nel mecenatismo tanto che i letterati più noti del tempo gli dedicarono le loro composizioni definendolo «gran lume delle lettere». Per la Biblioteca Reale di Castel Nuovo infatti Alfonso stanziò un contributo di 20 mila ducati l’anno e ciò permise di implementare la collezione con più di 2.500 libri manoscritti, una raccolta eccezionale per l’epoca. Sotto il suo regno Napoli diventò una delle corti più raffinate e aperte alle novità culturali del Rinascimento, tra i letterati che la frequentarono ricordiamo: Antonio Beccadelli, detto il Panormita, Giovanni Gioviano Pontano, Lorenzo Valla, che proprio durante il soggiorno partenopeo denunciò il falso storico della donazione di Costantino, Pier Candido Decembrio, Poggio Bracciolini e Francesco Filelfo. Inoltre Alfonso fece venire alla sua corte grandi artisti italiani ed europei come Jan van Eyck, Pisanello, il caposcuola valenciano Jaume Baço, il maestro francese Jean Fouquet, Luciano e Francesco Laurana, Paolo Romano, Andrea dell’Aquila, Perinetto da Benevento, Rogier van